Cassani racconta il suo ultimo dialogo con Scarponi

Davide Cassani racconta il suo ultimo dialogo con Michele Scarponi. Una battuta, un sorriso, che come al solito nascondono la sua grande profondità d’animo.

Ieri. Non una vita fa, non anni, neanche mesi.
Un giorno. È passato un giorno, anzi meno, 21 ore.
Sono al Tour of the Alps con la nazionale. Ho l’ammiraglia numero 8, davanti a me i tedeschi della Bora e dietro l’Androni. La fuga ha preso il largo e, come spesso accade, il gruppo rallenta e diversi corridori si fermano a bordo strada. Ho il finestrino abbassato anche perché, finalmente, la temperatura ha ripreso a rialzarsi dopo qualche giorno di freddo quasi invernale. Assorto nei miei pensieri, attento alle comunicazioni di radio corsa, sento una mano attaccarsi alla portiera della mia macchina. Giro lo sguardo ma prima di avere il tempo di aprire bocca per salutarlo mi incalza:
“Allora Cassa, ma quanto devo correre ancora?” La mia risposta è immediata:
“Ascoltami Scarpa, il prossimo anno, a Innsbruck abbiamo un Mondiale durissimo, ho bisogno di un corridore come te. Almeno almeno devi correre fino al prossimo anno, poi decidi tu. Ok?”
Michele mi risponde con un sorriso, ed è normale perché lui, il sorriso, ce l’ha stampato sul viso. Anzi no, lui ci prova a fare il serio ma non ci riesce. Lo dice sempre.
Sono 300 metri che è attaccato alla mia ammiraglia, ha voglia di parlare, è felice. Ha molti motivi per esserlo.
Il primo? Ha vinto una corsa dopo 4 anni di digiuno, da quel giorno di settembre del 2013 quando, già convocato da Ballerini per il Mondiale di Firenze, si impose al GP Costa degli Etruschi a Donoratico.
Il secondo? Avere dedicato la vittoria ai suoi due bambini, Giacomo e Tommaso. Hanno 5 anni i suoi due gemellini ed essendo nati nel 2012 non avevano mai visto il loro papà vincere una corsa. Li adorava
Il terzo? Un Giro d’Italia alle porte, da correre nelle ritrovate vesti di capitano per merito di un Fabio Aru, costretto a restare a casa per colpa di una brutta caduta.
E di motivi, Michele, per essere felice ne avrà sicuramente tanti altri perché è ottimismo fatta persona.
E come corridore? Esemplare.
Ho detto di questo periodo senza vittorie ma non perché Michele fosse calato, ma per il semplice fatto che dal 2014 ha cominciato a lavorare per gli altri.
Risoul 2016, penultima tappa alpina del Giro d’ Italia. Michele è in fuga con il belga Monfort. Cosa fa? Si ferma. Mette piede a terra per aspettare il suo capitano che nel frattempo ha staccato quasi tutti gli avversari più diretti, a cominciare dalla maglia rosa kruijswijk (caduto) e Valverde. È proprio il lavoro di Scarponi che permette al siciliano di avvicinarsi alla maglia rosa che verrà conquistata il giorno dopo, sempre grazie ad un Michele straordinario.
Io ci provo ma non riesco a scrivere al passato. Vorrei tornare indietro di qualche ora, magari allungare di un giorno il Tour of the Alps o nascondere la bicicletta a Michele in modo che non esca questa mattina in bici. Ma non posso.
Da questa mattina quando parlerò di Michele dovrò usare il passato, ma ogni volta che penserò a lui lo vedrò li, di fianco alla mia ammiraglia, a chiedermi per quarto tempo dovrà correre ancora.

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